Il compagno e l’estraneo: i mostri della tradizione giapponese nella mostra “Yokai” a Firenze

“Mostro” può voler dire molte cose. Nella storia della cultura Occidentale il Mostro è stato associato a molte cose. Storie di fantasia e storia reali, tristi, tragiche, che hanno macchiato la quotidianità, lo scorrere dei giorni. Ebbene, tutto questo può essere riassunto nel termine giapponese “kaibutsu”, che sta ad indicare “mostro”. Ma, interessante dal punto di vista linguistico la composizione del kanji di questo termine: “-Butsu (indicato anche dal termine “-mono”) indica una “categoria generale”, “cose”, “questioni che riguardano…” e “Kai” (nella lettura On) sta ad indicare “sospetto, “mistero” o “apparizione”. Quindi “mostro” è ciò che concerne apparizione misteriosa, apparizioni sospette”. Nel caso della tradizione giapponese, si preferisce usare lo specifico termine Yokai” (sempre il “kai” di “kaibutsu”) ma in questo caso, i due kanji utilizzati indicano entrambi il sospetto, lo strano, che insinuano il dubbio e non sono categorie o concetti. Ma vere e proprie entità che si manifestano. Queste entità si distinguono in più “categorie” e tutte queste tipologie di mostri, permeano la vita quotidiana della tradizione giapponese. 

yokai

La cosa sicuramente più interessante che unisce i vari tratti dei mostri della tradizione è la liminalità di questa apparizione. Il sospetto che il mostro genera non è tanto per l’inquietante che si manifesta, quanto per il fatto che si manifesta. Che problema ci sarebbe a vedere una tartaruga umanoide di 1.60 metri,  con braccia, gambe e capelli? Nessuno, se non fosse per il fatto che non le abbiamo mai viste. Noi associamo l’eccezionalità della visione all’unicità dell’entità che hanno spesso una cosa in comune: la rarità. Prima del periodo Edo  (dall’inizio del ‘600 alla metà circa dell’800) lo Yokai non era legato ad una forma di tradizione. Era tradizione l’animismo, la spiritualità di tutte le cose (nella lingua giapponese tutt’ora la particella onorifica può essere considerata ancora un lascito di questa concezione della quotidianità), ma andando a sparire, questa tradizione, l’eccezionalità della spiritualità ha fatto sì che l’abitudine alla compagnia degli spiriti venisse a mancare. 

Mancando l’abitudine si genera il sospetto e lo strano, ed ecco che il sospetto rientra nuovamente nella quotidianità della vita ritornando tradizione, una nuova tradizione con un proprio lessico, proprie immagini. Dalla spiritualità si passa alla paura, al perturbante; dalla sicurezza della convivenza con gli spiriti si arriva alla rottura, all’apparizione non voluta del mostro che crea inquietudine – inquietudine che è sempre dietro l’angolo. 

Si ha a che fare con possessioni, rapimenti, che vengono a loro volta esorcizzate e nel contempo rinvigorite dalle loro rappresentazioni teatrali. O, ancora di più, a livello militare: il Samurai con la sua armatura con muscolatura ben visibile, l’elmo che raffigurava ibridi, la maschera che nasconde il volto e nel contempo lo trasfigura in un ghigno. La psicologia della paura era già diventata nuovo strumento della società (intrattenimento, araldica, esercito) che univa e divideva il popolo e i popoli. Questa è la liminalità di cui sopra: il contrarsi e il dilatarsi dell’inclusione dell’estraneo nella tradizione giapponese.

La mostra “Yokai” (fino al 3 Novembre 2024 al Museo degli Innocenti, Firenze) ha questa particolarità: tra stampe, sculture e oggetti della tradizione, traccia un percorso storico e concettuale del vivere le mostruosità nelle sue molteplici sfaccettature. Fascinazione, tradizione e innovazione dell’orrore nell’esistenza rientrano in questa fisiognomica della mostruosità della storia nipponica.

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