Kyenge come i nazisti, i genitori sono numeri
L’editoriale del direttore
Ieri sono stato a cena insieme a mia moglie dai miei genitori. C’erano sia 1 che 2. Da quando il mio genitore 1 è in pensione, capita di ritrovarci tutti a tavola con più calma e senza i “frenetismi” della vita quotidiana. E, anche ieri, a godere è stata soprattutto la pancia. Infatti, ieri il mio genitore 2 ha dato il meglio di sé cucinando gli strozzapreti conditi con un sugo di pesto, fagiolini e patate lesse. Oltre alla groppa di bovino come secondo. Tanto di cappello per le doti culinarie del mio genitore 2 che sono state apprezzate anche da mia moglie e dal mio genitore 1.
Il mio genitore 1 è un uomo di 61 anni, mentre il mio genitore 2 è una signora e quindi l’età non si dice. Ma ora, mi domando: perché il genitore 1 deve essere quello che gli obsoleti chiamano “padre” mentre il genitore 2 deve essere quello che coloro che non stanno al passo con la moda chiamano “madre”? Perché uno deve essere classificato con il numero 1 e l’altro con il numero 2 e non viceversa? In base a quali criteri si decide che il genitore 1 sia il padre e il 2 la madre o viceversa? C’è il criterio della preferenza? O quello della data di nascita (da me usato)?
Non so come mai, ma mi viene in mente la Bibbia. Ve lo immaginate il Decalogo con le tavole della legge date da Dio a Mosè sul monte Sinai? Il quarto comandamento reciterebbe così: “onora il genitore 1 e il genitore 2”. Una volta, quando gli arcaici definivano i propri genitori semplicemente con le parole “padre” e “madre”, anche se magari negli effetti non era vero, almeno sulla carta erano sullo stesso livello. Per chi conosce un minimo la matematica (che, si sa, non è un’opinione), è chiaro che il numero 1 venga prima del numero 2. Perciò, mi domando: come fa il ministro Cécile Kyenge (nella foto) a dichiarare «mi sono sempre battuta per le pari opportunità, se questa è una proposta che la rafforza, mi trova d’accordo» quando la numerazione progressiva crea inesorabilmente una classificazione?
Ma, poi, la signora Kyenge, che è nata nell’ex Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, ha mai studiato la storia europea? Lo sa che l’uso dei numeri riferiti alle persone significa voler annullare la loro personalità e annientare la loro anima? Ha mai sentito parlare dei tatuaggi fatti dai nazisti all’ingresso di ogni campo di concentramento e di sterminio per far capire subito a ebrei, zingari, omosessuali, prigionieri politici, prigionieri militari etc. che ormai non erano più persone, ma cose? Ha mai sentito parlare di quello che succedeva dentro questi campi? Al genitore 1 del mio genitore 1 (mio nonno paterno, per intendersi) i tedeschi tatuarono un numero di matricola sulla pelle che se l’è portato fino nella tomba. Un numero che, quando era un deportato in un campo di Dortmund (succursale di quello di Buchenwald), significava “nome e cognome”. Per i nazisti mio nonno era rappresentato solo da alcune cifre e come tale, se sulla ruota del destino fosse uscito il suo numero, non sarebbe mai più tornato a casa. Invece, fortunatamente, ce l’ha fatta a tornare dalla Germania e tra le tante cose che mi ha insegnato, una è che gli uomini non sono numeri, ma sono persone. Così come i genitori, che sono semplicemente “babbo” e “mamma”.