AREZZO – Affetta dalla sindrome di Down, Fabrizia sconfigge il Covid in una battaglia lunga 3 mesi
Fabrizia, è stata ricoverata 93 giorni nei reparti Covid di malattie infettive, terapia intensiva e pneumologia.
Quindi al termine di questo percorso, nell’unità di recupero e rieducazione funzionale. Respirando normalmente, poi con il casco, quindi intubata e successivamente tracheotomizzata. Per poi poi compiere il percorso inverso.
Due foto raccontano il viaggio di Fabrizia dal reparto di malattie infettive, rianimazione, pneumologia, con l’aggiunta della riabilitazione; un viaggio che non ha compiuto da sola, ma con il sostegno dei professionisti che l’hanno curata e coccolata. Professionisti che, con grande impegno e umanità, le hanno permesso di tornare a casa dopo un lungo calvario.
La prima foto la ritrae distesa su un letto che sembra troppo grande per lei, attaccata alle macchine, circondata da tubicini. Nella seconda è appoggiata ad un corrimano e sostenuta da una mano amica: è in piedi. Salva.
Fabrizia è una delle ultime pazienti che ha lasciate la degenza Covid del San Donato, ha 62 anni, vive con una sorella, Cinzia, che racconta la sua storia perché lei non può farlo: ha la sindrome di Down. Cammina, si fa capire e soprattutto – come sottolinea Cinzia – fa quello che le va di fare. Una vita non semplice che il Covid, per oltre 3 mesi, ha reso drammatica.
All’inizio dell’emergenza Covid ci siamo trasferiti, per maggior prudenza, in campagna. Tutto inutile: Fabrizia, insieme alla’intera famiglia, viene contagiata dal Covid .
Il 23 di marzo, insieme alla sorella, viene ricoverata nella degenza Covid di Malattie infettive: “La mia preoccupazione era immensa – ricorda Cinzia. Era in un ambiente sconosciuto, in una sala molto grande, con persone coperte da mascherine e visiere. Io ero comunque vicino a lei ,ma le sue condizioni si sono aggravate e lei non accettava né il casco, né la posizione prona. L’equipe diretta da Danilo Tacconi ha fatto tutto quello che era possibile e mi riferisco non solo alle cure, ma anche all’atteggiamento gentile e affettuoso verso una persona particolarmente fragile, che era quindi in difficoltà maggiore di altri”.
Nonostante questo, le sue condizioni si aggravano. Quindi il trasferimento nel reparto Covid di Terapia intensiva. “Qui io non potevo entrare”. Le prime ore sono state molto difficili. “Mi hanno telefonato dicendomi che le condizioni stavano rapidamente peggiorando e che se la volevamo salvare, andava intubata. Dal reparto mi telefonavano ogni giorno tra le 13 e le 16. Questo voleva dire che se fino alle 13 non mi chiamava nessuno, Fabrizia era ancora viva e stazionaria. In quel periodo abbiamo avuto l’importante sostegno della psicologa, Silvia Peruzzi, che era stata appositamente attivata dall’Asl Tse secondo il percorso previsto per i parenti. L’ansia rischiava di travolgermi , pur essendo consapevole della grande professionalità dei medici e degli operatori di rianimazione, a cominciare dal Direttore Marco Feri”.
Fabrizia è rimasta in terapia intensiva Covid fino al 27 aprile quando è stata trasferita nel “terzo polo” delle degenze Covid del San Donato, quello di pneumologia diretto da Raffaele Scala. Racconta ancora Cinzia: “qui, grazie anche alla grande competenza e attenzione ricevuta da tutto il personale, le sue condizioni sono progressivamente migliorate fino a consentirle, il 31 maggio, di passare al reparto di recupero e rieducazione funzionale diretto da Rosanna Palilla, dove gli operatori hanno accompagnato Fabrizia nella sua ripresa, fino a rimetterla in piedi e camminare”.
Tanto che il 26 giugno è stato possibile abbandonare l’ospedale, e tornare a casa, in famiglia ad Arezzo.
“Il ringraziamento a tutti coloro (medici, caposala, infermieri, fisioterapisti, oss) che hanno avuto cura di mia sorella non è retorica – commenta Cinzia. Sono consapevole che Fabrizia non è stata una ricoverata come le altre. Se un paziente ordinario va in ansia per un ricovero ospedaliero, proviamo ad immaginare cosa accade a una disabile che da un momento all’altro viene sradicata dal suo ambiente sicuro e protetto, circondata dall’affetto dei suoi familiari, con ritmi di vita ormai consolidati e catapultata in un reparto Covid, dove è difficile vedere in faccia le persone, impossibile toccarle, complicato accettare le cure”.
Per un disabile l’abbinamento sanitari – familiari è irrinunciabile: “i sanitari pensano alla parte medica, noi dobbiamo pensare a quella psicologica, anche in questo caso con l’aiuto dei professionisti”.
Fabrizia è a casa. Non può raccontare quello che le è successo, quello che ha provato. Cinzia la guarda negli occhi e ogni tanto vede scorrere le lacrime: “penso che le sia rimasta la paura di restare sola. Prima non lo era mai stata”. Ha sofferto Fabrizia, ma anche la sua famiglia: “quando capisci cosa sia il Covid, ne rimani terrorizzato. Impari a vivere giorno per giorno, sperando che un nuovo giorno ci possa essere davvero”. Nella prima foto, quella in terapia intensiva, Fabrizia ha una carta da gioco nella mano destra. Impossibile sapere quale sia perché si vede il dorso. Probabilmente Fabrizia, nella partita contro il Covid, ha giocato il jolly: la professionalità degli operatori del San Donato e l’amore della sua famiglia.