La Catalogna dichiara l’indipendenza. Possibili riconoscimenti a giorni
FIRENZE – Oggi è il day after. Ieri la Catalogna ha dichiarato la propria indipendenza dopo il voto del primo ottobre (illegale per Madrid) che portò alle urne circa il 56% dei cittadini (770mila voti vennero sequestrati dalla Policia Nacional e dalla Guardia Civil e non fu possibile contarli, ma è giusto considerarli ai fini dell’affluenza in quanto le persone hanno votato) con larga maggioranza di “sì”. Il governatore catalano Carles Puigdemont, dopo aver tentato in tutte le salse la via diplomatica del dialogo con la Moncloa, ha dovuto arrendersi davanti al muro eretto dal premier spagnolo Mariano Rajoy e non ha potuto fare altro che dare mandato a quanto deciso democraticamente dal popolo catalano.
Di pronta risposta, la Spagna, che naturalmente non riconosce l’indipendenza della Catalogna, ha commissariato la Generalitat sospendendone l’autonomia grazie all’articolo 155 della Costituzione. Un’azione decisa preventivamente, qualunque fosse stata la decisione di Puigdemont. Un’azione condannata a priori addirittura dall’Onu, il cui ufficio sui diritti umani ha definito «incompatibile con gli articoli 1, 19, 25 e 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici», sottoscritto dalla stessa Spagna. Ed è anche forse per questa incompatibilità, e quindi per la consapevolezza che l’articolo 155 in realtà è un abuso, oltre alla conclamata incapacità di tener fede a un commissariamento di mesi della Catalogna, che Rajoy si è sbrigato in fretta e furia a convocare le elezioni per il 21 dicembre di quest’anno. Un giovedì. Un giorno lavorativo, forse con la speranza che gli indipendentisti non vadano a votare in modo che il suo Partido Popular possa prendere quelle percentuali che normalmente in Catalogna, regione da sempre antifranchista e da almeno un secolo antimonarchica, non riesce ad ottenere.
TRA LEGALITÀ E DEMOCRAZIA – «Ripristinare la legalità in Catalogna» sono state le parole più usate da Rajoy in queste settimane. Ma forse il premier spagnolo dovrebbe pensare prima di tutto a ripristinarla in Spagna e, soprattutto, nel suo partito visto che circa 800 suoi esponenti hanno avuto (e alcuni hanno tuttora) problemi con la giustizia, soprattutto dal punto di vista finanziario (corruzione). Un partito, quello Popolare, che ha pure conosciuto una strana scia di morte che molti pensano sia legata alla presunta corruzione del Pp. I moniti verso il rispetto della legalità, chiaramente, perdono di intensità se fatti da un partito che con la legalità spesso e volentieri va a scontrarsi. Dall’altra parte c’è un popolo che, secondo i sondaggi, all’85% avrebbe voluto decidere liberamente il proprio destino. I “sì” e i “no” se la sarebbero giocata all’ultimo voto, ma la repressione violenta messa in atto dalle truppe cammellate del governo spagnolo hanno fatto crescere sensibilmente la voglia di indipendenza tanto che la stima dei “sì” il primo ottobre (considerando i voti che non è stato possibile conteggiare) si attesta intorno ai 2.74 milioni su 5,3 milioni di elettori, pari addirittura al 51,2% del totale degli aventi diritto al voto in Catalogna. I catalani hanno mostrato al mondo come si può protestare e ribellarsi in maniera civica e pacifica. Dall’altra parte, le polizie spagnole (è da notare che lo stemma della Guardia Civil è tuttora lo stesso assunto durante il franchismo, ossia il fascio littorio) hanno risposto con una dura repressione nel sangue in puro stile franchista (900 feriti tra cui diversi bambini, anziani, donne e disabili). Scene di macelleria messicana nell’Europa del 2017.
UNIONE EUROPEA – L’Ue, che non ama molto che un popolo possa esprimersi (non a caso il corpo elettorale può eleggere soltanto il Parlamento che, a livello europeo, conta come il 2 di picche quando briscola è cuori, mentre chi ha potere decisionale viene nominato; meglio difendere lo status quo e continuare a fare come si è sempre fatto piuttosto che dare voce al popolo), si è sempre espressa a favore della Spagna, spesso voltandosi dall’altra parte, come in occasione delle violenze del primo ottobre. Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, in questi giorni ha ripetuto come un disco rotto «nessuno Stato membro riconoscerà l’indipendenza della Catalogna». Una frase che suona come una minaccia soprattutto nei confronti della Slovenia, da sempre disponibile a riconoscere la Repubblica catalana, e di Finlandia, Estonia e Lettonia che nelle prossime settimane ne voteranno il riconoscimento. Il Regno Unito, che a causa della Brexit in questi mesi è in “lotta” con la Spagna per Gibilterra, non vuole gettare benzina sul fuoco e si è detto contrario all’indipendenza della Catalogna, pensando di ammorbidire le mire espansionistiche di Rajoy (mai del tutto celate) verso la Rocca. Gli Stati Uniti d’America e l’Italia si sono dichiarate contrarie alla Catalogna indipendente, mentre la Spagna ha lanciato un messaggio a Israele, da sempre vicino ai separatisti catalani, affinché non riconosca la Catalogna (se Madrid pensa di risolverla con la propria Costituzione, che bisogno c’è di mandare messaggi ad altri Stati? Forse ha paura di perdere per davvero il proprio bancomat…). Dall’altra parte del mondo, l’Argentina si esprimerà sul riconoscimento o meno della Catalogna, il Venezuela è sempre stato dalla parte dei catalani, mentre sarà interessante vedere le posizioni di Russia e Cina al riguardo. Soprattutto quella di Vladimir Putin, che riconoscendo lo Stato catalano potrebbe aprire una breccia nell’Unione europea. Una Ue che, contraria agli Staterelli (però, a quanto pare, non al Lussemburgo ed a tutti quelli con meno abitanti della Catalogna, tra cui l’Irlanda), teme l’effetto domino e, di conseguenza, ha paura della cosiddetta Europa dei popoli che potrebbe far cedere il muro dell’oligarchia finanziaria dell’Ue.
GLI SCENARI – Gli spagnoli, al di là della questione indipendenza, non parlano bene dei catalani. Basta girare per la Spagna e chiedere alle persone: tutti o quasi riserveranno parole poco edificanti nei confronti dei catalani. Quindi, se gli spagnoli non amano i catalani perché costringerli a rimanere sotto la bandiera spagnola? Pensiamo ad un amore che finisce. Quando un matrimonio non funziona si dice che è giusto separarsi, magari consensualmente se proprio ci si riesce. Il matrimonio tra Spagna e Catalogna non funziona da anni anche perché da una parte c’è un marito povero pressante, che vuol controllare tutto, ma che non c’è nel momento del bisogno (la Spagna) e dall’altra c’è una moglie ricca (la Catalogna) che dà i soldi al marito per andare a fare la spesa, ma il marito ci mantiene le proprie “amanti” (si pensi all’assistenzialismo verso molte regioni del sud della Spagna). Una moglie che, dopo un po’, si è stancata di subire passivamente la situazione e ha deciso di dire basta, andando contro tutto e tutti, senza timore di passare per la “donnaccia” di turno. Ma la moglie, prima di dire basta, ha comunque provato in tutti i modi a ricucire col marito avanzando delle richieste lecite (maggiore autonomia fiscale e di servizi come altre regioni, come per esempio i Paesi Baschi e la Navarra), ma il compagno ha sempre fatto finta di nulla fino allo strappo decisivo. Quando un vaso si rompe puoi incollarlo tutte le volte che ti pare, ma resterà per sempre rotto. Prima viene riconosciuto questo divorzio e meglio sarà per tutti. Sarà meglio per la Catalogna che finalmente potrà liberarsi dalle catene spagnole, sarà meglio per la Spagna che potrà far crescere le proprie Comunidades votate da decenni all’assistenzialismo, sarà meglio per i cittadini europei che potranno dare voce a tutte le proprie istanze (cosa che spaventa moltissimo i palazzi), sarà meglio per il mondo intero visto che cesserebbe del tutto uno dei conflitti più longevi, ma più soffocati, della storia e si aprirebbero nuove strade politiche ed economiche. La strada è ancora lunga e tortuosa, la Spagna ha già preso le proprie contromisure e di riflesso il governo catalano deposto si concentrerà sulla Repubblica.