
Prato, le imprese del territorio e i dazi USA: gli effetti sul settore moda e sul meccanotessile
Il manifatturiero pratese non sfugge agli aggravi daziari imposti dagli Stati Uniti: la moda e il meccanotessile, settori che caratterizzano l’industria del territorio, sono investiti come gli altri da dazi che a regime, a partire dal 9 aprile, aggiungeranno il 20% alle tariffe attuali e nel frattempo, a partire da domani, saliranno come passaggio intermedio di un +10%.
Nel caso del tessile, il quadro attuale è differenziato per le diverse tipologie di prodotti: per citare degli esempi rappresentativi, i filati cardati o pettinati a maggioranza lana subivano prima degli aumenti un dazio del 6%, che andrà quindi al 26%; ben più pesante il risultato finale dei tessuti cardati o pettinati a maggioranza lana, che già avevano un dazio del 25% e che raggiungeranno quindi il 45%. Confezioni tessili come le sciarpe arriveranno a seconda delle tipologie a dazi finali dal 22% al 31,7%. Molto differenziata la situazione per i capi di abbigliamento: si va da tipologie che finora non erano gravate da nessun dazio e quindi arriveranno “solo” al 20% ad altre che sfioreranno il 35%.

“Siamo preoccupati per il quadro che si va definendo via via che si approfondiscono entità e modalità di applicazione dei nuovi dazi americani – dichiara Francesco Marini, presidente della sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord -. Il quadro si fa anzi più fosco quando si vanno a considerare i dazi che gli USA stanno imponendo a paesi dell’estremo oriente che attualmente sono spesso destinatari delle commesse dei brand americani: paesi quindi dai quali i brand stessi devono poi importare i capi finiti. La Cina andrà a +34%, il Vietnam a +46%, la Cambogia a +49%. Viceversa una nazione come la Turchia, forte nel tessile, viene risparmiata, per motivi economici o politici, limitando i dazi al 10%: le nostre produzioni tessili, già penalizzate dal punto di vista della competitività dai molti gap nazionali, rischiano di trovarsi in una difficoltà ancora maggiore rispetto ai nostri concorrenti. Gli effetti diretti, con il +20% inflitto all’Unione Europea, e indiretti di questa situazione si faranno sentire: anzi, gli effetti indiretti rischiano di essere ben più pesanti di quelli che si potrebbero ipotizzare sulla base della quota di export tessile pratese diretto verso gli USA, che è intorno al 6% per i tessuti e inferiore al 2% per i filati. Il deprezzamento del dollaro sta già erodendo i nostri compensi: il rischio è ora che gli ordini si riducano in conseguenza di una domanda americana verosimilmente destinata a contrarsi. Gli stessi brand statunitensi sembrano non tutti in consonanza con le politiche trumpiane: sono di ieri dichiarazioni preoccupate della United States Fashion Industry Association che vede messi in discussione flussi commerciali e rapporti di subfornitura consolidati. Le strategie degli operatori americani della moda subiranno dei cambiamenti, se non ci saranno passi indietro da parte della loro amministrazione, e le nostre imprese dovranno rimanere ben attente a cogliere opportunità e minimizzare i danni. Danni che vanno messi in conto: uno studio IRPET reso noto in questi giorni calcola per la moda toscana, dal tessile all’abbigliamento al calzaturiero, una contrazione del valore aggiunto determinata dai dazi USA a quota -1,2%, corrispondente a quasi 74 milioni. Il compito che attende l’Unione Europea è molto complesso: dovrà tenere una linea che non sia di acquiescenza ma che nello stesso tempo non inneschi reazioni eccessive che peggiorino il quadro. Il rischio forse più grave è infatti, anche per Prato, quello su scala globale, fra dazi USA e dazi di reciprocità: il ristagno dei flussi commerciali, l’avvitamento dell’economia internazionale e la contrazione del potere d’acquisto dei consumatori.”

“Il mercato statunitense è fra i più importanti per il meccanotessile pratese, con la sua quota del 17% sul totale delle nostre esportazioni – aggiunge Massimo Luchetti, coordinatore del gruppo Meccanotessili della sezione Metalmeccanica di Confindustria Toscana Nord -. Esportiamo verso gli USA soprattutto macchinari per la produzione e il finissaggio dei tessuti non tessuti, che vedono a Prato delle eccellenze riconosciute. I dazi sulle macchine tessili erano finora a quota zero o al massimo, per alcune tipologie, di pochi punti percentuali: passare ad almeno il 20% rappresenterà un salto molto considerevole per un’industria tessile come quella americana che deve le sue prestazioni anche, in gran parte, alle nostre tecnologie. I dazi finora pressoché inesistenti avevano evidentemente per gli USA proprio questo significato: riconoscere l’importanza strategica dell’importazione di macchine che qualificavano il tessile americano e anzi ne permettevano la stessa esistenza, data la non rilevanza del meccanotessile locale. Evidentemente la volontà dell’amministrazione Trump di promuovere lo sviluppo del manifatturiero nazionale investe anche la metalmeccanica specializzata: ma le competenze necessarie non si improvvisano, in nessun settore e in quelli ad alta tecnologia a maggior ragione. E’ prevedibile che si creerà una frattura temporale fra il momento in cui, fra pochi giorni, andranno a regime i nuovi dazi e quello in cui la meccanica USA potrebbe essere in grado di soddisfare le esigenze del tessile locale. Sempre che, come è auspicabile e non irrealistico, non si verifichi da parte degli USA un passo indietro rispetto a decisioni forse non abbastanza meditate. Un segnale potrebbe essere costituito dall’atteggiamento diverso tenuto per i chip: resasi evidentemente conto che caricarli di dazi avrebbe minato lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e in generale dell’elettronica nazionale, l’amministrazione USA li ha tenuti fuori dagli aumenti, mentre nello stesso tempo sta lavorando per promuovere la produzione locale di chip. Un lavoro in parallelo che, dal punto di vista delle intenzioni di far crescere il manifatturiero americano, ha un suo senso. In quel caso quindi è stata colta la necessità di tenere conto del fattore tempo; per le macchine tessili no, ma qualcosa potrebbe cambiare quando ci sarà evidenza dei problemi che si apriranno per il tessile americano.”