MONTECATINI TERME – Operata per protesi d’anca: torna a camminare a 35 anni grazie all’équipe di Santa Rita Hospital
La giovane donna da 10 anni conviveva con gravi dolori ed aveva difficoltà a deambulare
Secondo il Registro Italiano di Artroprotesi, l’anca è l’articolazione più operata (nel 56,3% dei casi di interventi di protesica).
Questo perché si stima che circa il 33% della popolazione mondiale sviluppi una patologia degenerativa muscolo-scheletrica, specialmente considerando l’innalzamento dell’età. Tuttavia un intervento di protesi d’anca può rendersi necessario anche in pazienti giovani. Come nel caso di una giovane donna 35enne che, nel 2011, era stata operata per una frattura dell’acetabolo (la parte di bacino che si articola con il femore) e una lussazione dell’anca a seguito di un incidente. A distanza di un decennio, a causa di importanti problemi di deambulazione, si è rivolta agli specialisti di Ortopedia e Traumatologia del Santa Rita Hospital a Montecatini Terme (PT), Ospedale di GVM Care & Research, dove è stata sottoposta ad un intervento di protesica d’anca.
“La paziente zoppicava visibilmente e camminava a fatica – spiega il dott. Gianni Nucci, responsabile dell’U.O. di Ortopedia e Traumatologia a Santa Rita Hospital –. Questo perché, a causa della lesione dell’articolazione occorsa per l’incidente, l’articolazione stessa si è consumata molto rapidamente. Dal primo intervento a oggi la giovane donna si è sottoposta a diversi trattamenti per cercare di prolungare la vita dell’anca ma alla fine, dopo 10 anni, si è innescata una necrosi della testa del femore che ha consumato precocemente l’articolazione”.
Data la complessità del caso, l’indagine diagnostica è stata essenziale per individuare la modalità di intervento più adatta e la tipologia di protesi da utilizzare. La radiografia mostrava infatti che al femore mancava la parte superiore la quale poggiava sull’osso vivo dentro il bacino provocando, oltre alla zoppia, anche dolori acuti. La Risonanza Magnetica ha poi evidenziato l’edema osseo, ovvero l’infiammazione cronica che colpisce l’osso residuo, che risultava estremamente ampio: l’équipe ha dunque optato per una protesi più estesa del previsto per riuscire a raggiungere la superficie sana a cui ancorarla. Infine la TC ha consentito il “bilancio osseo”, ovvero di determinare la quantità di osso residua, sia della parte femorale che dell’acetabolo a coppa.
“Ero da tempo in cerca di un ortopedico che mi seguisse in maniera approfondita perché erano ormai diversi anni che soffrivo per la necrosi del femore – racconta la paziente –. Non trovavo un dottore convinto ad operarmi, tutti mi dicevano che era troppo presto. Ero però arrivata al punto in cui non riuscivo più a camminare. Questa condizione mi impediva anche di proseguire il mio lavoro per il quale devo stare in piedi molte ore al giorno. Grazie ad una conoscenza comune ho preso appuntamento con il dott. Nucci che, visti gli esiti della TC e della RM ha detto che dovevo sottopormi ad un’operazione per applicare una protesi”.
3 settimane di studio di équipe per preparare l’intervento
“A Santa Rita Hospital abbiamo una buona casistica di interventi analoghi, ma ogni caso ha una sua singolarità. Abbiamo effettuato uno studio d’équipe per capire quali dispositivi utilizzare, con quale angolazione posizionare la protesi e se fossero necessarie delle parti protesiche aggiuntive (chiamate augment, servono a riempire dei difetti ossei)” – commenta il dott. Nucci –. Inoltre nell’acetabolo erano presenti delle viti risalenti al precedente intervento che potevano esserci d’ostacolo, andando in profondità per fissare la protesi, impedendoci di raggiungere il tessuto osseo sano. Con la TC è stato possibile individuare al millimetro il posizionamento di queste viti, pur dovendo considerare una probabilità di incontrarle. Per poter concludere l’intervento anche in questa evenienza abbiamo dunque allestito la sala operatoria con tutti i dispositivi e gli strumenti utili ad intervenire per vie alternative”.
L’équipe di Ortopedia di Santa Rita Hospital era dunque preparata a diverse possibili evenienze, pronti ad intervenire con uno strumentario particolare, comprese protesi più grosse e osso da banca medica nel caso di necessità di un trapianto di ossa.
Lo studio è durato circa 3 settimane. “Sono tante le cose da programmare, prima, durante e dopo l’intervento. Quindi lo studio e la preparazione del singolo caso sono fondamentali – commenta il dott. Nucci –. Siamo arrivati al momento dell’operazione con una serie di incognite ma preparati ad affrontarle. Fortunatamente l’intervento è durato meno di un’ora ed è andato tutto nel migliore dei modi previsti”.
La protesi utilizzata e l’esito dell’intervento
Per la parte dell’acetabolo è stata utilizzata una protesi di ultima generazione, mentre per il femore è stata adottata una protesi tra i modelli più in uso ed estremamente affidabili, con studi che attestano la durata a 25-30 anni.
“Abbiamo utilizzato una via mininvasiva – spiega il dott. Nucci –. Risparmiando le strutture tendinee e muscolari, passando attraverso un piccolo taglio di 10cm ricavato sulla pregressa cicatrice, la forza muscolare è stata conservata e nel post operatorio la paziente non ha presentato dolore. È stata messa in piedi il giorno seguente e, dopo 5 giorni di degenza, è stata dimessa con indicazione all’utilizzo di stampelle per circa 3 settimane. Bisogna avere cura della protesi, sono sconsigliate attività fisiche che la sollecitano eccessivamente e ne aumentano l’usura, come ad esempio la corsa, ma questa cura però non limita la vita”.
“Dopo l’intervento – racconta la paziente – un aspetto che mi ha sorpreso piacevolmente è stata la possibilità di mettermi in piedi il giorno successivo: dopo 3 interventi con altrettanti mesi di attesa per poter riprendere a camminare non mi sarei mai aspettata di potermi muovere sulle mie gambe fin da subito. Già dopo un mese dall’operazione conducevo una vita normale e a distanza di un paio di mesi sono tornata al lavoro. Proseguirò con delle sedute di fisioterapia per la ginnastica posturale e per correggere i difetti di deambulazione che mi hanno accompagnato nell’ultimo decennio”.