L’evoluzione dei giochi di società
Il gioco è una parte fondamentale della storia umana. È uno dei principali mezzi di apprendimento, può essere praticato a livelli agonistici e sportivi, ed è sempre stato un importantissimo elemento di socializzazione. Ancora oggi, in diverse occasioni informali con amici e parenti, è normale che a un certo punto appaia un mazzo di carte, una scacchiera o il tabellone di qualche gioco.
Ma, dato che nel corso della storia il gioco ha sempre avuto un ruolo centrale, è estremamente comune che i giochi ancora oggi praticati abbiano trascorsi che si spingono indietro di secoli: qualcosa su cui raramente si riflette quando, in gruppo, si decide di dedicarsi tutti insieme a un gioco.
Prendiamo per esempio gli scacchi, gioco adatto sia ai livelli amatoriali che ai più impegnativi palcoscenici competitivi. Se ne parla spesso come il re dei giochi di strategia, un titolo che non solo fa riferimento al nome dei pezzi ma anche alla sua natura, in origine ben più calata nella realtà. Gli scacchi infatti ebbero origine in India nel VI secolo come simulazione strategica: i vari pezzi simulavano diverse unità dell’esercito, e i giocatori dovevano muoverlo come se stessero schierando le loro armate. Il nome scacchi invece deriva dal persiano shāh, che significa re: dall’India gli scacchi sono passati per il Medio Oriente prima di diffondersi nel Mediterraneo, conservando tracce degli antichi nomi.
Altro gioco dalla popolarità immortale è la tombola, protagonista di innumerevoli cene natalizie familiari e che a Napoli ha una sua tradizione estremamente radicata. È infatti nel capoluogo campano che la tombola si è sviluppata, sebbene le sue radici siano nelle tante lotterie ed estrazioni che, nei più importanti comuni toscani come Lucca o Siena, erano estremamente diffuse per tutto il Medioevo. A Napoli però le lotterie diventarono tombola quando nel ‘700 il re Carlo di Borbone, volendo tassarle, si scontrò con un ordine religioso, che invece le voleva vietare. Si trovò un compromesso vietando le lotterie durante il periodo natalizio, ma per tutta la risposta la popolazione prese a praticarle riunendosi nelle case familiari, dando quindi origine al rito della tombola.
Possiamo prendere poi il blackjack, immortalato in decine di opere popolari sulla cultura americana: ancora oggi, che viene principalmente giocato sui siti degli operatori specializzati in giochi da casinò, il blackjack è una vera icona USA. In effetti però di americano ha solo il nome, il quale deriva da una regola introdotta proprio negli Stati Uniti, mentre il gioco in sé è più antico e ha radici europee. In diverse fonti scritte, a partire dal ‘600 si trovano menzioni di un gioco di carte basato sull’arrivare il più vicino possibile alla somma di 21 punti, senza però superarla pena la sconfitta. Il numero 21 torna anche nel nome del gioco, per esempio in spagnolo e francese, e il fatto che ancora oggi il blackjack si basi sulla stessa cifra e le stesse regole non fa che certificare come esso derivi da questo gioco europeo.
Interessante anche la storia di UNO, famoso gioco basato su un mazzo di carte di quattro colori. Queste sono state disegnate negli USA negli anni ’70, ma si basavano su un gioco già esistente: Crazy Eights, a sua volta derivante dal Dernière. Il termine in francese significa ultimo/a, ed è ciò che doveva urlare il giocatore rimasto con una sola carta dopo aver scartato il resto della mano rispettando la corrispondenza di cifre e semi. In UNO al posto dei semi ci sono i colori, ma le regole – comprese le carte speciali, che nel Dernière sono assi, jolly e figure – sono assolutamente identiche, inclusa la velocità di gioco.
Tornando infine su un altro gioco da tavolo, Monopoly è sicuramente uno dei più importanti, giocato in ogni occasione sul suo tabellone e di recente persino su smartphone. In pochi sanno però che in origine si trattava di uno strumento ben più particolare. Il tabellone di gioco venne per la prima volta brevettato negli Stati Uniti nel 1904 per mano di Elizabeth Magie, imprenditrice con la passione per l’economia: il suo gioco, che chiamò The Landlord’s Game, era pensato come un modo per criticare la gestione dei terreni in monopolio, proponendo come soluzione alternativa l’imposta fondiaria. Il successo arrivò trent’anni dopo, su una versione rielaborata da un’altra persona, ma il concetto originale era più una lezione di economia che un gioco.