John Cale in concerto alla Fortezza Santa Barbara di Pistoia, tra tradizione e avanguardia
Stupore e genialità alla corte del fondatore dei Velvet Underground
L’illustre gallese John Cale approda quasi inaspettatamente a Pistoia per il festival “Estate in Fortezza Santa Barbara” edizione 2018.
Chiaramente il personaggio non abbisogna di presentazioni, anche se una breve infarinatura non può che rinfrescare le idee. Giusto le cose più importanti, che so: fondatore dei Velvet Underground assieme a Lou Reed (e già questo basterebbe per definirlo illustre) col quale collaborerà per i primi due dischi che sono entrati nelle pietre miliari del rock (il famoso disco con la banana di Andy Warhol in copertina e White Light/White Heat), ha collaborato con gli Stooges come songwriter, collabora con il compositore contemporaneo Terry Riley con il disco “Church of Anthrax”, e poi, perché noi, ci mettiamo dentro le collaborazioni coi Roxy Music, con Brian Eno, coi Beach Boys (Fear).
I nomi potrebbero continuare con la collaborazione di “Horses” con Patti Smith, tiene regolari rapporti di jam sessions con Talking Heads, Police, e potrei davvero continuare senza fermarmi, anzi, in realtà, è proprio la storia stessa che non si ferma nel tempo. Eh, sì, se ci mettiamo ad ascoltare i dischi più recenti di Cale, cioè dal 2003 in poi, le sonorità vengono prese a piene mani da gruppi contemporanei che, fin dagli esordi della loro carriera, hanno fatto emergere caratteristiche che Cale aveva già sdoganato e canonizzato, in primis, il suo stile di canto, tra la ballata e l’onirico, col suo rapporto di sintesi e diaresi del punk, la sua presa di distanza dalle tendenze al fardello che lo ha fatto conoscere al mondo (perché spesso, lo stile è croce e delizia dell’artista che sa evolversi, che sa mutare forma pur mantenendo la sua impronta).
Ha saputo “diventare passatista” quando il futuro chiamava, ha saputo sfondare le porte dell’avanguardia quando nemmeno ci pensava, a diventare avanguardista. Ecco, l’eredità di Cale, è molto più grande di quella che si immagina. Una volta conosciuta, difatti, vediamo la sua imponenza. Bene, adesso, introducete questa figura nella splendida cornice della Fortezza Santa Barbara di Pistoia, luogo ricco di suggestioni, fortezza medicea voluta da Cosimo I, che ha avuto un ruolo non marginale nella storia delle vicissitudini del Granducato.
Ma alziamo ulteriormente la posta: l’evento, più unico che raro che ha coinvolto anche la Fondazione Oncologica Fiorentina, era a scopo benefico. I proventi saranno devoluti per la ricerca oncologica. Ma tutto questo non è bastato a svegliare tutti gli animi che avremmo pensato avrebbe svegliato.
Eh già, non sono bastati i classici reinterpretati di pezzi storici come “Venus in Furs” o “Waiting for My Man”, nemmeno la performance del brano Magritte, nemmeno le evoluzioni immaginifiche, le deflagrazioni sonore di una band che si muoveva come un tutt’uno (menzione d’onore al geniale bassista che ha cambiato forma al suo strumento: da drone distorto a chitarra solista, ineccepibile), capace di creare ambienti astratti (e proprio quell’astrazione tecnica è altamente concreta, colpisce l’orecchio e il sentimento come una scudisciata), ballate in bilico tra il cupo e il luminoso, insomma, un concerto che avrebbe accontentato (anzi, che ha accontentato) nostalgici e curiosi, sperimentatori e tradizionalisti.
Il buon gusto e la capacità tecnica hanno letteralmente espugnato una fortezza che ancor prima di essere fisica, spesso è culturale. Purtroppo le fortezze si difendono bene e la battaglia è sempre più difficile. Una cosa va davvero detta: un concerto così non si vedeva da tempi immemori e l’organizzazione ha davvero lavorato duro per creare un evento apprezzabile sotto ogni punto di vista. John Cale e la sua semplice eloquenza hanno lasciato senza parole perché era lui che aveva davvero ancora molto da dire.
servizio fotografico di Sandro Nerucci