Goldf@ashion, mostra al ‘Museo della Lana’ di Stia (AR)
Qualche giorno fa è stata inaugurata all’interno del Museo della Lana di Stia, la mostra Goldf@shion che terminerà il 3 novembre 2013.
La collaborazione tra lo storico museo casentinese ed il Liceo Artistico di Arezzo prevede un’esposizione di giacche vintage e nuove giacche, creative e simboliche confezioni realizzate dagli studenti stessi il cui estro si è concentrato sul tema del tailleur o, come amava dire Coco Chanel, sulla “nuova uniforme della donna moderna”. Della serie: Dio creò Eva da una costola di Adamo e Cocò Chanel disegnò il tailleur pensando alla corrispettiva divisa maschile.
Grande rivoluzione in ambito della moda o conferma di una mentalità sessista insita nelle donne stesse? Mi domando questo mentre mi aggiro per il Museo della Lana di Stia, uno di quei posti che sono un po’ come Tiffany: tolgono le paturnie all’istante.
È un museo, è un vecchio lanificio, è un ex posto di lavoro. Sembra di vederle tutte quelle donne che ci hanno lavorato: madri, figlie, giovanissime e meno giovani. Il Museo e i suoi reperti mi fanno pensare alle donne e alla loro biblica mansione: filare. Non filavano forse le Parche? Non filava forse Penelope? E a filare hanno continuato le loro figlie e le figlie delle figlie per gli uomini, per i fratelli e per i figli.
Fino a quando non hanno filato per la Patria. E dopo? Beh! Se hai filato per un esercito intero le aspettative cambiano. E sono cambiate. La donna, come l’uomo, è diventata lavoratrice.
E come l’uomo, ma diversamente, ha indossato un’uniforme. Ma il genio femminile non si ferma mai alla necessità e allora l’uniforme è diventa tailleur. Corto, più corto, così corto che è quasi sexy. Fantastico in versione Versace, ricamato, floreale, bianco e nero, severo, eccentrico è, in effetti, come la donna stessa: versatile.
Un tailleur per tutti i nostri ruoli, che sono cambiati con la storia dell’umanità: severo anni ’50, con la manica a trequarti, a stampa “marocco”, versione “hippy”, a gonna plissettata e giacca imbottita e poi futuristico estremo anni ’90. Adatto a tutte le mamme che lavorano, alle figlie che si emancipano e alle donne che, una volta conquistato l’ufficio, sono predisposte a conquistare un uomo… fuori dall’ufficio, si capisce.
Girello ancora un po’, è stimolante vedere le creazioni delle giovanissime aspiranti stiliste del Liceo aretino, come le loro ave hanno filato non per stretta necessità, ma aspirando a qualcosa di più. E d’altra parte non decidevano le Parche con i loro fili il destino dell’umanità? E Atena, dea dell’Intelligenza, non era anche la protettrice dell’arte della tessitura? E un eroe della stazza di Teseo non ebbe forse bisogno del gomitolo di Arianna per uccidere il Minotauro?
Avrei preferito che Dio mio ci creasse indipendentemente da Adamo e che Chanel non basasse i suoi modelli così tanto su quelli maschili. Ma in ambito lavorativo una divisa simile “a quella di” ci vuole perché ci sono volute diverse guerre per ottenere l’uguaglianza. La differenza sostanziale, e Coco Chanel lo sapeva bene, è che noi donne abbiamo gambe decisamente più belle da sfoggiare sopra i tacchi quindi un tailleur ci stava e ci sta alla grande.
La mostra merita davvero una visita, sia che siate amanti del vintage di classe, sia che siate nostalgici del “telaio”, sia che da buone futuriste vi immaginiate con il tailleur sì, ma spaziale.