Arriva il ‘Bravo ragazzo’ dei Club Dogo, Guè Pequeno al Viper Theatre
Venerdì 11 ottobre alle ore 21,30 al Viper Theatre di Firenze Guè Pequeno
Il secondo album da solista ha conquistato il disco d’oro a sole tre settimane dall’uscita e l’estate lo ha visto impegnato in affollati dj set in tutta Italia. Adesso, per Guè Pequeno – membro del trio hip hop più famoso d’Italia, i Club Dogo – è tempo di presentare live il suo “Bravo Ragazzo”, dato alle stampe lo scorso giugno per Universal.
Apre la serata Stiv, altra eccellenza del rap tricolore, già al fianco di Guè Pequeno nel singolo “Nella mia macchina” dell’utimo album “Stiwipedia“. Guè Pequeno, forte del successo e dell’esperienza del precedente tour da solista, porta sul palco uno show inaspettato e carico delle mille sfaccettature della sua personalità, senza dimenticare il sound internazionale dell’album.
Insieme al “Bravo Ragazzo” ci sarà una formazione inedita, mentre sui grandi schermi scorreranno visual realizzati da Pepsy Romanoff, il regista che ha già curato le clip di “Rose Nere”, “Business” e “Brivido”. Divideranno il palco con Guè, il dj Jay-K, Daniel Congo come seconda voce e Carmine Landolfi: per la prima volta in Italia verrà aggiunto un batterista alla tipica formazione di un concerto rap.
BRAVO RAGAZZO – Un’ora nella testa di Gue Pequeno. Una testa malinconica e violenta tutta tappezzata di marchi costosi e tatuaggi. I feticci italiani del 2013 sono tutti lì, disordinatamente in rima o assonanza, “anche tu fai il rapper, la tua etichetta è Twitter, fai la modella, la tua agenzia è Instagram”, “strisci come fa una Visa”, sono Halo, Una notte da leoni, la Ceres, i neomelodici napoletani, la tipa che “il suo migliore amico si chiama Cartier”. I marchi, la moda, “ho assassinato il rap italiano ora vesto griffato al suo funerale”, “moda italiana francese giappo”.
Il Dogo da dieci anni è come Hunter Thompson, riferisce da luoghi che sappiamo ci sono, ci appartengono e non ci vogliamo andare. Parla del successo, “Ora faccio il cantante anche se non so cantare, ora faccio il contante anche se non so contare”. “La gente si arrabbia, meglio fallito che celebrativo”. “E se mi dici venduto fra è perché qualcuno ha comprato”.
Quando leggi le rime tutte insieme ti chiedi perché non ci sia un comico pazzo, un Lenny Bruce milanese che giri i teatri sparando chiodi e battute con lo stesso panico e la stessa voglia, che parli come Gue di donne, morte, soldi e paura mischiando tutto: “Il dottore poi mi ha fatto una lastra e in testa ha visto che ho soltanto i soldi e basta”. Basta solo citarlo, non ha senso parafrasare Gue, analizzarlo: tutto ciò di cui lo si può criticare se lo dice da solo, è il Woody Allen degli zarri e degli hipster: “Come mai l’unico paradiso che sogno è quello fiscale? Quello vero fa troppa paura”.
Una soluzione morale del problema gli pare impossibile anche solo cercarla: “La bibbia l’ho letta e tra le varie critiche ho trovato il protagonista un po’ poco credibile”. Quindi pacchi di malinconia da hangover: “Sono talmente solo che ho imparato a farmi compagnia da solo, a rassegnarmi, sono oche grigie che mi scolo”, un altro marchio nascosto, la vodka Grey Goose.
Senso alla vita non riesce a chiederlo, vuole un brivido: “più di un film, più di un drink, più della marijuana, più di un trip, di sta miss mezza brasiliana, di una hit di una suite a Copa Cabana, di un dj, più di un rave in mezzo alla savana, più del successo più di fare sesso ad alta quota, più di ogni banconota, più della coca… Dammi un brivido, non so per quanto starò qua”.