Una nuova architettura per il sistema sociale e sanitario toscano: Giunta approva riforma
Via libera dalla Giunta toscana alla riorganizzazione dei sistemi sanitari, socio-sanitari e sociali della Regione. La delibera si lega al decreto del Ministero, il Dm 77, approvato la scorsa estate. “Ma nel recepirlo – spiega il presidente, Eugenio Giani – la Toscana non si è limitata ad un semplice adempimento burocratico e ci ha aggiunto un pensiero ed un programma”. “Si tratta di un progetto – aggiunge l’assessore alla sanità, Simone Bezzini – che parte dalla storia di questa regione, che ne valorizza le specificità ma che apporta un ridisegno complessivo. E’ anche il frutto di un percorso di partecipazione e di un confronto con territori e attori del sistema. Sono stati recepiti alcuni spunti scaturiti dagli Stati generali sulla sanità del Consiglio regionale”. “Il percorso di riforma che stiamo avviando – commenta l’assessora alle politiche sociali, Serena Spinelli – ridefinisce il modello organizzativo dei servizi sociosanitari territoriali non solo allineandosi a livello nazionale al Pnrr e al Dm77, ma anche raccordandosi con il piano nazionale dei servizi sociali e il piano per la non autosufficienza”.
“Il risultato – sottolineano presidente ed assessori – è un sistema che migliorerà la capacità di risposta ai bisogni dei cittadini”.
Il contesto in cui la riforma si muove è quella di un regione la cui popolazione invecchia, che vede l’inversione della piramide demografica e il conseguente aumento dell’incidenza e della prevalenza delle patologie croniche. Per questo serve un modello di presa in carico del cittadino più continuo e vicino al suo domicilio, sollecitato dalle politiche nazionale ma anche da una risoluzione della giunta regionale.
La Toscana disegna così l’architettura della nuova assistenza socio-sanitaria territoriale che andrà a regime nei prossimi tre anni e che avrà i suoi tre pilastri nelle case di comunità, ospedali di comunità e centrali operative territoriali. Si punta sull’integrazione e il potenziamento delle cure domiciliari, sullo sviluppo della sanità di iniziativa (ovvero percorsi di prevenzione per gestire meglio le malattie croniche) e sulla presa in carico sul territorio. Un ruolo importante l’avranno l’innovazione e i servizi digitalizzati, la telemedicina e il telemonitoraggio.
Nel percorso di ascolto e confronto che ha accompagnato il varo della riforma sono stati incontrate e sentite le direzioni sanitarie con le loro articolazioni interne, la conferenza regionale dei sindaci, la terza commissione del Consiglio regionale, gli ordini professionali, i sindacati, il consiglio dei cittadini e Anci Toscana.
“Questa riorganizzazione – evidenzia l’assessore Bezzini – è uno dei passaggi più importanti che abbiamo di fronte in questa legislatura. Abbiamo deciso di raccogliere la sfida del Dm77 e degli investimenti infrastrutturali che arriveranno con il Pnrr mettendo in campo un progetto toscano che costruisce nuovi pezzi di welfare e stato sociale nella nostre regione”. “La Toscana – aggiunge – non parte certo da zero. Da quindici o venti anni abbiamo lavorato con più progetti sulla sanità territoriale ponendoci all’avanguardia: dalle case della salute all’infermiere di comunità e di famiglia, tanto per fare qualche esempio. Abbiamo fatto tesoro di quanto realizzato ed andiamo ancora avanti”.
“Centralità dei territori, servizi di prossimità e case di comunità sono i pilastri su cui costruire percorsi in grado di dare una risposta sempre più integrata ai bisogni di salute e di protezione sociale delle persone, per prendersene cura in maniera complessiva, soprattutto a fronte della fase di grave crisi economica e sociale che stiamo vivendo”, prosegue l’assessora Spinelli. “La capacità di fare rete sul territorio e di lavorare in maniera sinergica tra le diverse professionalità e i vari servizi coinvolti, con le amministrazioni locali e il terzo settore sarà decisiva per rispondere a bisogni sempre più complessi, riconoscere i diritti, generare opportunità di inclusione sociale e qualificare così un rinnovato modello toscano di integrazione sociosanitaria e socioassistenziale”.
Al centro della nuova architettura ci saranno il cittadino e la comunità, in un puzzle che vede incastrarsi da un lato la prossimità e una presa in carico continuativa dei pazienti là dove abitano, con risposte adeguate ai bisogni delle persone, e dall’altro la sostenibilità del sistema. Gli effetti della riforma si misureranno infatti anche negli ospedali, dove è attesa una riduzione degli accessi impropri ai pronto soccorsi.
Soluzioni diverse a seconda dei territori in cui si opera – la formula non può essere la stessa per la città, un arcipelago, un area interna o la montagna – ma un identico obiettivo: assicurare a tutti la garanzia di un un percorso che assicuri accesso ai servizi vicino a casa: con lavori di equipe, con la collaborazione di medici e pediari di famiglia, con la telemedicina quando utile e necessaria o con le cure domiciliari, con il coinvolgimento ancora del terzo settore e del volontariato che contraddistinguono in maniera positiva l’esperienza toscana.
Case, ospedali di comunità e centrali operative
Ma cosa cambierà in pratica dopo la riforma? Il cittadino continuerà ad accedere al sistema attraverso il 116117 (il numero unico per cure non urgenti), rivolgendosi al medico o al pediatra di famiglia, alle case di comunità o al punto unico di accesso, attraverso il segretariato sociale o ai punti insieme, ai consultori e ai servizi della salute mentale delle dipendenze, ai centri servizi e ai centri per le famiglie. La novità è costituita dalle centrali operative territoriali – 37 in tutta la Toscana, più di una dunque per zona distretto che sono ventotto, un medico e cinque infermieri in servizio in ognuna, aperte dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana, una a turno anche la notte e la domenica – e che funzioneranno in back-office come una sorta di cabina di regia smistando percorsi e bisogni in base alle esigenze del cittadino, in modo integrato e semplificando, per i cittadini, percorsi amministrativi a volte ostici: non solo in uscita dagli ospedali come oggi fanno le Acot per le cosiddette dimissioni difficili e per pazienti che hanno bisogno di cure intermedie, ma anche in entrata, dai territori agli ospedali od anche tra i vari servizi del territorio.
Nasceranno con la riforma le case di comunità, da 70 a 77 in tutta la regione. Là dentro dovranno necessariamente trovare casa non solo specialisti di base ma anche medici di famiglia, pediatri, infermieri di comunità e assistenti sociali. Offriranno assistenza in raccordo con la rete ospedaliera. La parola chiave è di nuovo integrazione, il coivolgimento di tutte le professioni sanitarie e la presenza di equipe strutturate. Un sistema a rete, con il soccorso delle Uca – evoluzione delle unità mobili di distretto Usca tenute a battesimo durante la fase più acuta della pandemia – che offriranno aiuto ad esempio nel caso di emergenze organizzative o di focolaio, attivabili dai medici di famiglia.
E nasceranno anche gli ospedali di comunità, per le cure intermedie di persone fragili o anziane o con patologie croniche che necessitano di interventi a bassa intensità, se non trattabili a domicilio. Ci sarà almeno un ospedale di comunità in ogni zona distretto o per società della salute, con circa venti posti letto ogni 50 mila abitanti.
L’intero sistema, da qui a tre anni, dovrà andare a regime.