Morto Priebke, criminale nazista ‘difeso’ da Montanelli
ROMA – All’età di 100 anni è morto oggi a Roma Erick Priebke, capitano delle SS condannato all’ergastolo per aver partecipato alla pianificazione e alla realizzazione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Le sue gesta durante la seconda guerra mondiale sono molto note visto che partecipò a quella vile rappresaglia su 335 civili dopo l’attentato di via Rasella in cui morirono 33 soldati altoatesini (e quindi italiani) delle SS reggimento di Polizia “Bozen/Bolzano” (altri 9 morirono successivamente per le ferite riportate), 2 civili italiani (tra cui un bambino di 13 anni) per l’esposione e 4 civili italiani sotto il fuoco di risposta delle SS.
Non tutti ricordano, però, che Priebke ha avuto una sorta di “difesa morale (e temporale)” da parte di un toscano doc, il giornalista di Fucecchio Indro Montanelli. Infatti, Montanelli commentò che «il processo a Priebke non ha alcun senso […] perché il caso fu risolto una cinquantina di anni fa, quando il Tribunale militare stabilì che l’unico responsabile delle Fosse Ardeatine era il colonnello Kappler, che se n’era assunto l’intera responsabilità dicendo: “L’ordine l’ho dato io, i miei subalterni non hanno fatto altro che eseguirlo, com’era loro dovere”».
Nel 1996, Montanelli scrisse su Oggi: «Ammettiamo pure, dicevo, che con qualche acrobazia procedurale si arrivi alla condanna di Priebke […]. Si può mandare un vecchio di 83 anni all’ergastolo? No, non si può. E allora, perché facciamo questo processo? Evidentemente, solo per dare soddisfazione alla piazza che lo reclama. Comunque, che dovesse finire in una sinistra pagliacciata era già scritto non solo nel modo in cui questo caso è stato affrontato, ma anche nel carattere di noi italiani sempre a rimorchio, intellettuali in testa delle ventate passionali che scuotono la piazza».
Sul Corriere della Sera del 17 dicembre 1998, Montanelli rincarò la dose. «Se la mia penna potesse qualcosa, il processo Priebke, a cinquant’anni di distanza dal verdetto della corte marziale che lo aveva scagionato, non si sarebbe fatto, e comunque non si sarebbe concluso per volontà di due uomini che ora lo hanno sulla coscienza, ammesso che abbiano una coscienza: il procuratore Intelisano, ma ancor più di lui il ministro della giustizia Flick, che con un atto di arbitrio fece revocare la sentenza che confermava quella di cinquant’anni fa, e ne ordinò non la revisione, ma il rovesciamento. Caso Priebke, vergogna della giustizia Italiana».
Montanelli, inoltre, scrisse anche una lettera a Priebke, vergognandosi di essere italiano, ricordando che quanto capitò alle Ardeatine costò la vita a due amici del giornalista toscano e che quella sorte, essendo egli stesso prigioniero dei tedeschi a Milano, sarebbe potuta toccare a lui da un momento ad un altro. Ma Montanelli non vedeva in Priebke un criminale nazista, bensì un semplice soldato che «quell’ordine avrebbe potuto rifiutarsi di eseguirlo e, così facendo, di fatto, suicidarsi» diventando così un martire. Ma quell’ordine Priebke scelse di eseguirlo. Per Montanelli ciò non avrebbe fatto del capitano delle SS un criminale. Per me invece sì. E pure vigliacco.