UISP Firenze: “Agire presto per salvare lo sport”

Dichiarazioni di Marco Ceccantini Presidente del Comitato

Marco Ceccantini (UISP Firenze): “Lo sport è un diritto dei cittadini ma l’impatto del Coronavirus è pesante”.

Il Presidente del Comitato UISP Firenze Marco Ceccantini ha diffuso un appello che fotografa una situazione difficile per EPS e ASD e contenente alcune proposte per superare l’emergenza Coronavirus.

“Le organizzazioni sportive che gestiscono impianti sportivi e natatori, per lo più di proprietà pubblica in regime concessorio, sono società senza scopo di lucro soggettivo. Ciò significa che investono un capitale iniziale, spesso garantiscono le banche finanziatrici con il loro patrimonio personale per costruire ristrutturare o rinnovare impianti che al termine della concessione rimangono nella disponibilità dell’ente pubblico che ne detiene la proprietà ma che non possono distribuire in loro favore l’eventuale utile di esercizio, che deve essere obbligatoriamente reinvestito nell’attività sociale e, dunque, per la promozione dello sport quale interesse primario della comunità in cui viviamo.

La pratica sportiva per i suoi contenuti sociali, educativi, formativi e per la sua valenza scientificamente riconosciuta di prevenzione in ambito sanitario è un diritto di tutti i cittadini e un interesse della collettività. È inoltre un metodo riabilitativo anch’esso scientificamente riconosciuto e molto efficace in favore dei soggetti più deboli e con disabilità, anche gravi. Un modo insomma per rendere la vita migliore a tutti i cittadini in modo concreto.

“La pratica sportiva per i suoi contenuti sociali, educativi, formativi e per la sua valenza scientificamente riconosciuta di prevenzione in ambito sanitario è un diritto di tutti i cittadini e un interesse della collettività”.

Tuttavia, ancorché gli Enti di Promozione Sportiva/Associazioni di Promozione Sociale e le società sportive dilettantistiche (come le ASD) non perseguano uno scopo di lucro in senso soggettivo, esse in realtà agiscono perseguendo un criterio di lucro oggettivo, ovvero applicando il metodo economico di gestione dell’attività, in base al quale i costi debbono essere interamente e necessariamente coperti dai ricavi. Ove ciò non avvenga divengono insolventi e sono passibili di fallimento, esattamente come tutte le attività commerciali lucrative in senso soggettivo.

A fronte di alcune agevolazioni fiscali, delle quali peraltro gode ogni settore economico in modo più o meno ampio, i ricavi degli Enti di Promozione Sportiva sono costituiti dagli incassi estremamente calmierati perché spesso concordati con gli enti pubblici proprietari degli impianti, derivanti quasi esclusivamente dagli appassionati che svolgono attività motoria di base, in altre parole dagli incassi procurati dall’attività dilettantistica.

Dall’altro lato i costi che essi sostengono sono smisurati e, soprattutto, estremamente rigidi per ogni giorno dell’anno, essendo gli impianti sportivi sempre aperti per moltissime ore in ogni giornata feriale o festiva a completa disposizione del pubblico, proprio come un complesso impianto industriale a tre turni giornalieri che non può essere fermato per garantirne il ciclo produttivo, con costi cioè che non sono modulabili se non in minima parte rispetto al flusso della domanda di attività sportiva: canoni di concessione degli impianti in favore degli enti pubblici proprietari, rate dei mutui per la costruzione, ristrutturazione e rinnovazione degli impianti quasi sempre di proprietà pubblica, oneri di manutenzione ordinaria e spesso anche straordinaria degli stessi, costi dell’energia paragonabili a quelli di un’attività produttiva energivora, allenatori, personale di servizio ed amministrativo.

Dal punto di vista sanitario, devono gestire i rispettivi impianti applicando le più rigorose norme igieniche e sanitarie, sotto l’attenta sorveglianza delle autorità sanitarie locali. Ciò sempre, in ogni periodo dell’anno a prescindere da qualsiasi emergenza sanitaria. Del resto, è un dato di fatto che molto raramente un impianto sportivo possa essere un centro di diffusione o propagazione di malattie, tanto batteriche quanto virali.

Dunque i soggetti sportivi di base sono operatori economici come tutti gli altri, operanti nel settore terziario, in particolare offrono alla collettività servizi considerati di primaria importanza al pari dell’istruzione o della cultura e che tutti noi cittadini, ancorché attualmente impossibilitati a farlo a causa dell’emergenza Coronavirus, amiamo fruire e speriamo di poter godere quanto prima non appena l’emergenza sanitaria sarà rientrata e sarà salvaguardato l’interesse alla tutela della salute pubblica, certamente di rango superiore rispetto al diritto all’istruzione, alla cultura ed alla pratica sportiva.

Tra tutte le costituzioni occidentali, anche precedenti alla nostra, purtroppo quella italiana è una delle pochissime a non contenere un esplicito riferimento al diritto della cittadinanza alla pratica sportiva. Ciò per ragioni storiche specifiche della nostra Assemblea costituente, la quale ha evitato di inserire tale riferimento nel testo fondamentale del nostro ordinamento poiché la pratica sportiva era stato uno dei principali mezzi di propaganda del regime fascista, che a quell’epoca era necessario contrastare con ogni mezzo. Tra tutti i cittadini in generale e fra tutti i soggetti economici in particolare la Costituzione italiana garantisce il principio di uguaglianza e di parità di trattamento. Gli artt. 2 e 3 della Costituzione recitano infatti: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” ed ancora “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”.

Tuttavia, qualcosa di grave è accaduto. Allo stato attuale a causa dell’emergenza Coronavirus, gli EPS e le ASD, al pari di molti altri operatori economici, non sono in grado di garantire il rispetto del metodo economico: cioè non riescono a coprire i costi di esercizio mediante i ricavi della loro gestione.

“Allo stato attuale a causa dell’emergenza Coronavirus, gli EPS e le ASD, non riescono a coprire i costi di esercizio mediante i ricavi della loro gestione”.

Sono dunque a serio rischio di fallimento e, certamente, molti di loro falliranno. Infatti, la chiusura forzata degli impianti ha azzerato gli incassi a fronte:

  • del probabile obbligo di restituzione almeno parziale degli incassi già avvenuti per il periodo non goduto dagli utenti in costanza del periodo di chiusura;
  • di costi operativi molto vicini a quelli ricorrenti durante la normale attività. Gli unici costi che,  a malincuore, si è potuto ridurre sono quelli legati alle retribuzioni di collaboratori e personale non strutturato o dipendente fisso.

In altre parole, si è potuto reagire allo shock economico del Coronavirus esclusivamente lasciando a casa moltissimi collaboratori e dipendenti non fissi, senza la certezza che, una volta cessata l’emergenza, essi possano tornare in servizio, perché magari, comprensibilmente, costoro avranno intrapreso nel frattempo altre attività per necessariamente integrare il loro reddito.

Rimangono invece da pagare i canoni di concessione degli impianti in favore degli enti pubblici proprietari, le rate dei mutui per la costruzione, e ristrutturazione degli impianti quasi sempre di proprietà pubblica, gli oneri di manutenzione ordinaria e spesso anche straordinaria degli stessi, i costi dell’energia, i costi dei dipendenti e collaboratori, gli oneri previdenziali e le imposte come ogni altra società. Certo dall’8 marzo 2020 sono nella stessa situazione moltissime categorie senza differenziazione di genere: gestori di comprensori sciistici, di bar, di ristoranti, di alberghi e di sale cinematografiche, agenti di viaggio, tour operator e così via.

Non si può dunque chiedere loro di reinvestire quanto guadagnato in passato, semplicemente perché anche in periodi migliori a loro la legge già vietava di fare qualsiasi guadagno. Questa è la caratteristica fondamentale che contraddistingue gli EPS anche da chi gestisce sale cinematografiche o discoteche e rende unica la loro vulnerabilità in questa grave situazione igienico-sanitaria in cui versiamo, la quale già ha assunto le vesti della crisi economica e che, a questo punto, per gli EPS possiamo considerare già irrimediabile sia il presente, che il futuro. Considerato tutto ciò, cosa chiediamo?

Premesso dunque che il sistema sportivo italiano è ampiamente virtuoso, seppur imperfetto su alcuni punti, ed ha permesso di raccogliere grandi risultati nell’attività motoria di base e grandiosi risultati sportivi noti a tutti, sostituendosi così alle istituzioni nel relativo ruolo formativo ed educativo, e premesso altresì che la categoria, a differenza di altre (come quella degli albergatori) non è dotata di alcuna rappresentanza sindacale di riferimento che possa far valere la propria voce nei confronti di Governo ed istituzioni, si ritiene di chiedere:

  1. Alle istituzioni statali, regionali e territoriali la parità di trattamento con gli altri operatori economici.
  2. Un aiuto concreto dal punto di vista economico. Se lo sport di base fallirà per effetto della crisi da Covid-19, al termine dell’epidemia non vi sarà più alcun soggetto in grado di riaprire gli impianti sportivi pubblici (ciascuno del valore di svariati milioni di euro) a servizio di tutta la collettività e dei più deboli in particolare.
  3. I Comuni proprietari degli impianti in questo periodo rinuncino definitivamente ai canoni concessori.
  4. I lavoratori siano sostenuti con ammortizzatori sociali ad hoc che vanno creati per decreto legge urgente in loro favore, visto che quelli già esistenti per gli altri lavoratori non sono loro applicabili.
  5. Sia disposta una moratoria medio-lunga del rimborso del capitale delle rate dei mutui legati alla costruzione, ristrutturazione o rinnovamento di impianti di proprietà pubblica, con accollo ex lege da parte degli enti pubblici proprietari degli interessi passivi che nel frattempo matureranno.
  6. Sia concesso un adeguato allungamento dei periodi di concessione degli impianti di proprietà pubblica, così da permettere un adeguato ristoro al danno già subito dai gestori.
  7. Sia concesso un allungamento adeguato per gli ammortamenti di bilancio, fin dall’esercizio in corso, per evitare che i bilanci di esercizio si chiudano in stato di insolvenza.
  8. Sia offerto un contributo per il pagamento delle utenze energetiche fino a quando sarà possibile, si spera, riattivare i flussi di cassa una volta cessata l’emergenza.
  9. Questa sia l’occasione per una revisione radicale del quadro normativo in cui è costretto ad operare lo sport, che l’emergenza Coronavirus ha dimostrato essere inadeguato alla prima difficoltà, ciò non certo per garantire guadagni ma per permettere al meglio la promozione dell’attività sportiva, tanto dilettantistica quanto professionistica, soprattutto per la stragrande maggioranza delle discipline “non ricche” che tuttavia la cittadinanza tanto ama.
  10. Riconoscimento della pratica sportiva come prevenzione medica/sanitaria.

Si chiede di non far morire gli EPS, e con loro tutto il settore economico sportivo che, si crede, tutta la cittadinanza non vede l’ora di riattivare non appena l’emergenza sarà cessata. Bisogna però agire concretamente ed al più presto. Per ogni soggetto sportivo fallito a causa del Coronavirus, ci sarà un impianto sportivo non più fruibile, molto a lungo, per la collettività, cioè per noi tutti, per i nostri figli, per gli anziani, per i nostri disabili, insomma per un terzo degli italiani (questo è il numero dei praticanti sportivi nel nostro Paese), anche quando il Coronavirus più non ci sarà!”

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