A Prato il primo master universitario per l’accoglienza ai migranti
Se l’immigrazione va governata con l’anima ma anche con la testa, se al buon sentimento è necessario che si affianchino le giuste professionalità, ben venga e ben ci sta allora anche un master universitario sull’accoglienza ai migranti, per formare figure in grado di operare a sostegno dei richiedenti asilo. Undicimila oggi in Toscana.
A Prato ci hanno iniziato a riflettere sei mesi fa e quel master, primo in Italia nel suo genere, è già realtà.
“Un percorso importante – dice l’assessore all’immigrazione della Regione, Vittorio Bugli -, perché l’accoglienza non è solo questione di trovare alloggi, pasti e gestori. Rincorriamo questo fenomeno e ci mettiamo tante gambe. Invece servirebbe anche tanto sapere. Sessantacinque milioni di persone che fuggono e si spostano nel mondo è qualcosa infatti che cambia la società e se non ci mettiamo la testa rischia di sfuggirci di mano”.
Il master di Prato in fondo è nato da un riflessione analoga: un corso per prepararsi al dopo, perché quella dei popoli in movimento è questione complessa più che complicata, perché più piani e fragilità si sovrappongono e la terapia va dunque ben calibrata, perché l’immigrazione e le fughe da dove si muore di guerra o di fame nel mondo non possono essere considerate un’emergenza, ma sono un fenomeno che continuerà chissà per quanto tempo, connesso con la società e allo sviluppo.
Il master è stato presentato e inaugurato stamani nella sede della Fondazione Santa Rita sulla salita dei Capuccini, con interventi del vescovo, del prefetto, del vicesindaco della città e dell’assessore Bugli appunto. Ospite d’onore e protagonista della lectio magistralis è stato padre Giulio Albanese, giornalista, missionario comboniano di lungo corso, uno che in Africa e nelle periferie del mondo ha vissuto a lungo, uno che ben conosce, sul campo, gli effetti della globalizzazione, della crisi e della finanziarizzazione dell’economia, uno che racconta della forbice sempre più ampia tra ricchi e poveri (che non è più questione solo geografica), uno che prima di fare il parroco dei più poveri è stato pilota di aerei ed ha studiato all’accademia militare di Livorno. E che dice: “I media quasi sempre ci raccontano solo gli sbarchi. Informarsi invece sulle vere ragioni di questo fenomeno (e con la rete oggi è più facile) è la prima forma di solidarietà”. E’ l’antidoto a tanti luoghi comuni. E’ quello che a volte accade quando il profugo diventa una persona e una storia (e la diffidenza iniziale si smorza).
Che il master sia nato a Prato ha forse anche un valore aggiunto: perché la città del distretto tessile è anche la città delle 124 etnie (cinesi ma non solo) e quella dove un quarto della popolazione, senza uguali in Europa, è straniera (tra chi è iscritto all’anagrafe e chi non, senza uguali in Europa), perché Prato è la città della convivenza lodata da papa Francesco (sia pur con le sue contraddizioni e asperità ancora irrisolte) e la città che appena sabato, due giorni fa, ha ospitato l’edizione zero di “Mediterraneo Downtown”, festival che ha visto tra i registi anche la Regione e dove molto si è parlato anche di migrazioni.
Il corso, due anni e accesso con un ampio ventaglio di lauree di primo livello, è stato pensato a quattro mani dall’Università di Firenze e dalla Fondazione Opera Santa Rita, che a Prato da tempo, attraverso Coop 22, si occupa delle gestione dei richiedenti asilo: un percorso rivolto a chi opera sul campo, “un master nella polvere – sottolineano gli organizzatori – con la gente che lavora”, venti iscritti da più parti d’Italia e lezioni settimanali, sul banco ad approfondire temi giuridici e sociologici, a studiare anche nozioni di geopolitica ed antropologiche culturali, pure conoscenze sanitarie e alla fine un tirocinio, presso enti pubblici o no profit che si occupano di accoglienza. Un master sulle norme in continuo movimento, per insegnare che non c’è solo il bianco e nro spesso, che oltre al diritto all’asilo ci sono gli apolidi ad esempio (e tra chi arriva ce ne potrebbero essere), che ci sono le vittime delle tratte e che di stereotipi sono pieni i popoli che accolgono ma anche chi fugge, ammaliato dall’Europa tutta lustrini delle pubblicità e soap opera.
L’assessore Bugli ha fatto i complimenti agli organizzatori, dicendosi interessato a partecipare anche a momenti successivi di questo percorso.
“Ancora una bella cosa a Prato – ha esordito – frutto di quello spontaneismo ed attivismo che in Toscana anche in passato ha dato forma a tante esperienze interessanti”:”Farsi carico di questo fenomeno migratorio, che è ipocrita continuare a chiamare emergenza – sottolinea Bugli -, significa prima di tutto conoscerlo. Questa è la prima esperienza in Toscana ed è lungimirante e pragmatica, perché questo è un fenomeno che cambia la società e bisogna affrontarlo con la buona volontà, ma anche e soprattutto con capacità di governo”.
Verso una maggiore inclusione, che dovrebbe essere l’obiettivo finale. Con vantaggio reciproco.