Natale, Psicologi Toscani: “La povertà che fa più male è quella relazionale”

La presidente dell'Ordine, Gulino: “Il dramma di Campi Bisenzio ci impone una seria riflessione su un senso di umanità sempre più rarefatto e impercepibile

“La tragica vicenda emersa in questi giorni nel comune di Campi Bisenzio, dove un trentenne è stato ritrovato morto all’interno di un baule nell’abitazione in cui viveva con la famiglia e dove, secondo quanto emerso, il corpo sarebbe rimasto occultato per un lungo periodo senza che nessuno se ne accorgesse, ci pone davanti ad una verità difficile e scomoda: esistono forme di solitudine relazionale estreme che possono svilupparsi e cronicizzarsi anche all’interno di contesti familiari”.

A dirlo è Maria Antonietta Gulino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana e del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, a pochi giorni dal Natale, richiamando l’attenzione su una fragilità che riguarda l’intera comunità.

“La tragedia racconta di un isolamento profondo, prolungato nel tempo – sottolinea Gulino – che non ha trovato argini nelle relazioni sociali, nel vicinato, nella comunità. Non parliamo solo di disagio individuale, ma di una povertà relazionale che coinvolge interi sistemi di vita, in cui le persone smettono di essere viste e riconosciute, smettono di esistere”.

“Questo tipo di solitudine – continua la presidente – è una delle emergenze più gravi per la salute mentale contemporanea. Quando mancano relazioni significative e sguardi esterni, il disagio può crescere indisturbato, ‘normalizzarsi’ e diventare invisibile”.

“Il periodo delle feste – aggiunge Gulino – rende ancora più evidente questa frattura. Mentre il Natale viene raccontato come tempo di famiglia, calore e condivisione, casi come quello di Campi Bisenzio ci ricordano che non tutte le famiglie sono luoghi di salute e di relazione viva e che l’isolamento spesso si consuma dietro porte chiuse, per anni fino a diventare dramma”.

“Il benessere mentale e sociale – conclude la presidente – non si tutela solo con interventi individuali, ma attraverso comunità attente capaci di accorgersi dell’altro, di sollecitare o mantenere relazioni, di non lasciare che l’isolamento diventi invisibile o che l’individualismo dilaghi. La prevenzione passa dalla prossimità: senza relazioni, il rischio sempre più frequente è che il disagio resti sepolto nel buio e nel silenzio”.

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