AREZZO – Galleria 33 presenta Forma, personale di Roberto Ghezzi.
Reduce dalla mostra Sublimen curata da Giovanni Faccenda presso Museo Fondazione Luciana Matalon a Milano, Roberto Ghezzi torna dunque ad Arezzo con Forma, mostra a cura di Tiziana Tommei. In parallelo l’artista esporrà dall’8 novembre al 6 dicembre 2014 a Roma presso il Chiostro del Bramante, mentre dal 3 al 30 aprile 2015 ha in programma una personale a Palazzo Medici Riccardi a Firenze.
Roberto Ghezzi è nato a Cortona nel 1978, dove attualmente vive e lavora. Inizia a dipingere molto precocemente, frequentando lo studio di famiglia, dove apprende le basi del disegno e della pittura ad olio. Negli anni approfondisce la tecnica del suo linguaggio presso la Scuola della Maestra Alivojvodic e frequenta i corsi di nudo, incisione e storia dell’arte presso l’Accademia delle Belle Arti Di Firenze. Dagli anni Novanta espone con regolarità in personali e collettive, in Italia e all’estero. Attivo in premi e concorsi, ha ottenuto positivo e crescente riscontro di pubblico e critica, nonché di galleristi e collezionisti. Le sue prime opere hanno restituito il paesaggio attraverso il suo sguardo, con una mimesi del dato fenomenico che, negli anni, è andata dissolvendosi assumendo i toni della soggettività e della rarefazione formale.
L’esigenza di confrontarsi, in maniera reiterata, con certi soggetti, diviene parametro di una dinamica evolutiva: stessi temi, diversi livelli concettuali, sempre e costantemente in divenire. La strada percorsa è quella del rinnovamento del concetto di pittura di paesaggio, così che la ripetizione del suo soggetto – il paesaggio appunto – non implica mai la proposta di uno stesso dipinto. E’ stato indicato dal Prof. Giovanni Faccenda tra gli artisti meritevoli di una segnalazione nell’edizione n° 50 del CAM (Catalogo dell’Arte Moderna, Editoriale Giorgio Mondadori).
Non fatevi ingannare dal mare calmo, dal dolce ondeggiare dell’acqua o dal volo ascensionale di un uccello. Non fermatevi ai profili montuosi avvolti dalle nebbie o ai cieli gravidi di nubi, andate oltre. Oltre l’orizzonte disegnato, superate la linea bianca e prolungate all’infinito lo spazio oltre il supporto, sia sul piano che in profondità. Scavate dentro quello che appare e cercate il significato vero di quanto è dato. Trovate il punto, il concetto.
Un procedere ponderato e misurato, in ossequio a principi mai traditi o negati, misto ad una capacità di reinventarsi costantemente mantenendo ferma la propria cifra stilistica. Il tutto, secondo un mai celato minimo comune denominatore: un’instancabile ricerca formale.
Direttrici, rette, fulcri, piani: sono questi i vocaboli dell’opera di questo artista che, a dispetto della scelta di soggetti “sublimi”, non parte da essi per affermare ciò che sente, vede e ragiona. L’ossessiva proposta dei temi a lui cari, non va intesa quale sintomo di un interesse per essi, quanto invece per le strutture mentali di cui essi possono assumere la forma. Ghezzi non è attratto dall’orizzonte del mare piuttosto che da cime e cieli tempestosi, quanto dalla loro essenza formale. Essi si fanno veicoli di un messaggio tutto personale, interiore, ma che non riguarda la sfera emotiva o introspettiva.
Roberto Ghezzi non ama psicologismi e simbolismi. Egli costruisce un discorso che è puramente formale e architettonico, nella misura in cui la sostanza si compenetra con la forma. Ogni sua tela si nutre di geometria, modularità e prospettiva. Equilibrio e ratio. Ghezzi fa scaturire la parvenza emozionale dalla logica. Egli parte da schemi mentali e li traspone sul supporto, strumentalizzando quello che appare come soggetto del quadro, ma che in realtà è solo un pretesto. L’oggetto raffigurato è scelto per la sua forma e per le potenzialità strutturali che sottende.
Per questi motivi, è stato scelto il titolo “Forma”. Avrebbero potuto chiamarla anche “Teorema”. Lo spazio, il colore e una maniacale attenzione alla struttura compositiva. Ogni elemento, come in un’architettura, occupa il suo posto, millimetricamente cercato e fissato sulla tela. Le montagne sono fasci di linee convergenti verso un centro, un crogiolo di vettori che intercettano lo sguardo, guidandolo alla lettura dell’opera. Implicitamente vi è l’invito ad indagare l’aspetto processuale del dipinto, seguendo la mano del pittore, il tracciato materico e cromatico, le sovrapposte e ripetute pennellate, i ritocchi a secco, la trasparenza dell’ultimo strato di pittura.
Blu di Parigi, verde smeraldo, rosso di cadmio e blu reale: una tavolozza ricercata, mai banale. Ogni colore non è mai unico, ma il prodotto di fattori cromatici eterogenei. Così come lo spazio è infinito. Il supporto esiste, ma viene continuamente negato e superato. La tela non pare avere un peso specifico o una sua concreta parvenza. Sparisce. La superficie è ricreata dallo spessore cromatico e trattata ora con ripetuti “tagli”, ora con una stesura lineare e a zolle.
Un minimalismo costruttivo, geometrico, cromatico, ma sempre (ancora) ancorato ad un tramite figurativo con il reale. Nuovi valori plastici emergono nei lavori più recenti, dove il blu è dominante e i formati raddoppiano. Non basta più una tela. L’infinito non può essere restituito, ma sicuramente evocato.