Graphic Novel e genesi: la visione del simulacro secondo il disegnatore Luca Brandi
Il suo primo volume "Tribae" è stato presentato alla libreria IBS Il Libraccio di Firenze
Che co’è un simulacro? Questa è una domanda che dai tempi dell’antichità, fino ai giorni nostri, riecheggia anche inconsapevolmente quotidianamente, di fronte ai nostri occhi. Per una delle più antiche definizioni, il simulacro è una copia negativa della vera copia del modello. Facciamo un esempio: l’idea del cavallo (o concetto di cavallo, o “cavallinità”) fa derivare la “giusta” copia del cavallo (un cavallo vero che corre per la prateria, o in un recinto, bianco o nero, con macchie o senza, ecc.) da cui può (e non deve) derivare la sua copia “falsa” (un ritratto su carta del cavallo, una fotografia del cavallo, un cartonato del cavallo). Ecco, quest’ultima è detta “simulacro” poiché simula il “vero” ma che “vero” non è. Proprio questa concezione razionalistica, che nulla ammette se non prodotti che siano razionalmente derivabili da un’idea, in funzione di un concetto, è ciò che invece noi dobbiamo nuovamente legittimare. Senza stare a porsi l’inflazionata domanda “sogno o son desto?” o “se il sogno in cui vivi può sembrare come la realtà, come fai ad accorgerti che stai sognando?”, e dando per assodato che tattiche di finzione ci accerchino ogni giorno fin nelle nostre case (si veda la pubblicità, si vedano i talk show, si ascolti la musica “che va oggi”, come ci dicono, come vogliono farci credere) e che hanno degli effetti realtà, bisogna legittimare ancora l’idea del simulacro che, come vedremo molto brevemente qui, non ha nulla di meno della copia (quella reputata “buona”, “vera”). Infatti il simulacro può rientrare nella serie degli artefatti che non discendono direttamente dalla pura copia (a cui deve sempre rimandare) ma discendono da Altro (può essere l’ispirazione, l’intuizione, la visione, lo humour, la rabbia, qualcosa che comunque trascende il “razionale” in senso stretto) e questo Altro non è definibile secondo i criteri dell’Idea, della Ragione, del linguaggio per cui A sta ad A e B sta a B.
L’Altro è questo misterioso sovversivo che non risponde a questi criteri d’identità, di etichetta. Ecco, questo è il messaggio che trapela dall’opera di Luca Brandi Tribae presentata all’IBS Libraccio di Firenze: una graphic novel, senza dialoghi, esclusivamente disegni con un loro divenire continuo in bianco e nero che esce per Hollow Press e concepito come il primo capitolo di una trilogia. Vale la pena di riflettere sul titolo Tribae, vocabolo che semplicemente non esiste ma che richiama asl tribale, al rito, alla genesi, all’ancestrale. Un globo, ancora da formare, pleiadi in continua mutazione, detriti, morphing, e poi, la “conclusione” di un capitolo che deve ancora essere definito dagli altri due: i simulacri, risultato di questa nuova genesi, la cui ispirazione sembrano essere i primitivi, le loro pitture rupestri, le statuette dedicate alla dea della fertilità, manufatti iconici incapaci di trovare catalogazione (per il momento).
Luca Brandi, col suo progetto ha mostrato la “fecondità” dell’Altro, il mistero del simulacro che coi suoi disegni ha dischiuso una ridefinizione della visione, della cosmogonia, del mistero che aleggia nel nostro quotidiano, ripeto, anche se noi spesso non ce ne accorgiamo.
Riccardo Gorone