AREZZO – Frode al fisco variando i dati sulla purezza dell’oro
Scoperta organizzazione che alterava la purezza dell’oro frodando il fisco. Numerose società fittizie per poter smistare beni, denaro ed eludere i controlli del fisco.
Arezzo, capitale dell’oro italiano negli anni ’90 si trova oggi coinvolta con una maxi rete di truffa al fisco italiano che coinvolge varie zone del Bel Paese. Il sistema sgominato dalla Guardia di Finanza si basava sulla creazione e l’utilizzo di società di comodo da interporre nella filiera di compravendita dell’oro per poter alterare i vari parametri ed evadere il fisco.
I militari delle fiamme oro contestano l’emissione di fatture false per un ammontare di 350 milioni di euro solo ad una prima analisi; la possibilità che questa cifra sia destinata a salire è molto elevata. Il metodo scelto per poter evadere il fisco era variare la purezza dell’oro commerciato tra sopra e sotto la soglia di applicabilità dell’IVA di 325/1000. Con questo escamotage si è quindi potuto aggirare il fisco e non pagare grandi quantitativi di IVA invece dovuta.
Arezzo assieme a Roma e Matera è una delle province coinvolte e nelle quali i militari hanno effettuato perquisizioni e sequestri. Il sistema di aziende fittizie costruito era a “regola d’arte”: gli amministratori erano dei prestanome, le sedi legali delle società erano fittizie ed alcune proprio inesistenti, altre dichiarate presso negozi vuoti. Il complicato meccanismo messo in piedi dall’organizzazione prevedeva che le società reali vendessero, sulla carta, oro di purezza pari o superiore a 325 millesimi, alle società fittizie. La purezza minima di 325 millesimi faceva sì che le vendite dell’oro avvenissero con il regime di non imponibilità dell’IVA, un sistema che permetteva alle società fittizie di non pagare l’IVA sull’acquisto.
Le società fittizie, dopo un altrettanto inventata lavorazione, rivendevano quindi l’oro abbassando la purezza sotto soglia, aggiungendo quindi l’IVA ed andando in debito nei confronti del fisco. Debito del tutto inventato in quanto l’applicazione delle imposte non era dovuta in quanto oro con purezza superiore a 325/1000. Fatta la vendita con l’IVA le società incassavano i soldi, vuotavano i conti correnti e “sparivano”.