Kink Gong – Dian Long: Soundscape China / Destruction of Chinese Pop Songs (Discrepant, 2018)

 

crep53_frontLa Cina è un mondo sicuramente affascinante, probabilmente ha tutt’altro fascino che so io, della Francia, o dell’Italia, poiché è un fascino che racchiude a sé tutto quello che affascinante non è, soprattutto considerando la storia moderna e contemporanea che ha percorso quei cambiamenti culturali che, sembrano seguire la storia dell’occidente, ma in ritardo, molto più potente e he riesce a mantenere un peculiare equilibrio tra varie contraddizioni dal cui coacervo è nata una cultura (comunismo unito al capitalismo, unito al post-capitalismo che sfocia nella creazione di prosumers, all’emulazione dell’Occidente e nel forgiare l’immagine dell’Occidente). Insomma, la Cina è (inconsapevolmente spesso) un continuo laboratorio sociale, lavorativo, culturale, che non ha eguali e che non solo sembra sentire il tempo delle modifiche, ma spesso lo impone come locomotiva evolutiva.

crep53_backEcco, la fucina culturale cinese, così come perfetta ipostasi del concetto di événementiel, ha modificato una tradizione (innumerevoli e millenarie tradizioni) non solo per questa corsa all’Occidentalizzazione (detto tra noi, la Cina è già al primo posto, ha già superato il traguardo largamente) ma per un’eredità che lo stesso popolo (per meglio dire, chi per lui) ha dilapidato nei decenni fino al vuoto surreale che è stato rappresentato nelle olimpiadi a Pechino in cui, nella mastodontica coreografia di presentazione della storia dello Stato cinese, abbiamo assistito alla rimozione, volendo anche freudianamente intesa, della modernità e della contemporaneità che potevano dare adito ad autocritica, auto-consapevolezza, risveglio del ruolo di un popolo, di una nazione, nel mondo odierno.

Ecco, la Cina nel mondo odierno, in particolare, la Cina vista con gli occhi di Laurent Jeanneau conosciuto come Kink Gong e che decide di muoversi all’interno di una cronaca che è già critica, che già si schiera e che disegna la frammentazione culturale cinese, la stratificazione caotica del pop che come un martello sbriciola e scompone anni di tradizioni. Quest’opera che sta a cavallo del documento, dell’ascolto altamente sperimentale e dell’arte concettuale, porta il nome di Dian Long, che in cinese significa “dragone elettrico” e che porta come sottotitolo il binomico Soundscape China / Destruction of Chinese Pop Songs. Difatti questo lavoro è bipartito e, se da una parte vuole ritrarre il paesaggio contemporaneo della Cina con field recording manipolati di varie situazioni (Esercizi di scuola a Baoshan, suoni di film per la tv), dall’altro, sempre seguendo questa visione della società, c’è la distruzione (e non quella “decostruzione” che è andata tanto di moda e che ha reso sterile e inflazionato questo termine geniale) delle canzoni pop (e non popolari, attenzione) cinesi. Questo secondo passaggio chiaramente non è separato rispetto al primo movimento, ma è assolutamente intrecciato, quasi dipendente dal primo, la parte pratica della “teoria critica” di Jeanneau che scardina, frammenta la patina pop e riesce a ripagare il consumismo con la stessa moneta, trasmutandolo in occasione di fare arte. Lo specchio che fa brillare la società (l’omologazione, la serenità, il principio dell’avere = essere, il sole che splende ogni giorno, la patina e i colori accesi delle copertine dei rotocalchi, le dolci melodie del pop quasi come ninnenanne anestetizzanti) viene distorto, rotto, crepato e da questa immagine fatta di frammenti, ne risulta un mosaico capace di dare nuova identità, di svelare il gioco del mondo, come hanno teorizzato i filosofi (occidentali, perché sì, è l’Occidente che si è sentito di criticare l’Occidente) da Adorno fino ad Attali e Lefevre, può essere che, quando l’estetica parla la stessa lingua della società (è forse inevitabile?), è capace di mutare quest’ultima in realtà sospesa tra verità ed estrema verità.

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